Con ordinanza del 23 febbraio 2017, il Tribunale di Torino, Sezione III civile (giudice dott.ssa Raffaella Bosco), ha rimesso in termini la parte convenuta, che aveva depositato la comparsa di risposta in forma telematica oltre il termine previsto dall’art. 165 c.p.c.

Tale deposito tardivo era stato effettuato a seguito del rifiuto da parte della cancelleria, a causa di un errore fatale, di un precedente deposito dello stesso atto, tentato l’ultimo giorno utile.

In particolare, la quarta PEC – di rigetto del primo deposito – era giunta all’avvocato del convenuto oltre il termine per la costituzione, e dalla medesima risultava che l’errore fatale era stato generato da un allegato (un provvedimento giudiziale) avente firma digitale non integra; a seguito del rigetto, la costituzione del convenuto era avvenuta con deposito dell’allegato in copia scansionata, autenticata e firmata digitalmente dal difensore.

Da parte sua, l’attore aveva rilevato che l’errore risultava già dalla terza PEC (relativa all’esito dei controlli automatici), e che ciò avrebbe consentito all’avvocato del convenuto di effettuare un nuovo deposito tempestivamente.

Il Tribunale, di fronte a tali dati, ha segnalato innanzitutto come non si possa «imputare al difensore la scelta di costituirsi l’ultimo giorno utile assegnatogli dalla norma, in quanto […] è suo diritto utilizzare tutto il lasso temporale previsto dall’art. 165 c.p.c.».

Il giudice ha poi evidenziato come la terza PEC non avesse evidenziato alcun errore fatale, ma soltanto: «Errore imprevisto nel deposito, sono necessarie verifiche da parte dell’apposito ufficio ricevente».

Per il Tribunale, dunque, l’avvocato – visto il tenore della terza PEC – «non avrebbe potuto evidentemente rendersi conto se si trattava di un errore warning o error che possono essere forzati dalla cancelleria con intervento manuale o piuttosto di un errore fatal. Solo ove fosse emerso che l’errore era fatal, il difensore avrebbe dovuto capire che il deposito non era andato a buon fine ed avrebbe avuto quindi l’onere di ritentarlo immediatamente». Ma soltanto con la quarta PEC, giunta oltre il termine per la costituzione, il convenuto aveva preso coscienza della natura «fatal» dell’errore.

Per il Tribunale, tale scoperta «incolpevole» ha giustificato il deposito tardivo: «Alla luce di quanto ricostruito, non sembra poter essere in alcun modo imputabile all’avv. R. la tardività della costituzione. Va quindi accolta l’istanza di rimessione in termini».

I punti rilevanti dell’ordinanza sono due: in primo luogo, la considerazione per la quale non è possibile imputare al difensore la scelta di effettuare il deposito telematico l’ultimo giorno utile, essendo suo diritto impiegare tutto il tempo a disposizione; in secondo luogo, come il giudice non abbia ritenuto necessario alcun comportamento specifico dell’avvocato a seguito della terza PEC, che aveva evidenziato la necessità di controlli da parte della cancelleria.

Sotto quest’ultimo aspetto, è interessante richiamare l’ordinanza del Tribunale di Milano del 10 maggio 2016, secondo cui non può […] «ritenersi esigibile che il legale, avendo ricevuto l’avviso di avvenuta consegna del messaggio PEC in epoca idonea a considerare il deposito tempestivamente eseguito (ex art. 16 bis, co. 7 D.L. 179/2012), in difetto di esplicita segnalazione di errore fatale, implicante in quanto tale l’impossibilità del rifiuto dell’accettazione da parte di cancelleria, ed altresì di esplicito rifiuto dell’accettazione, provveda a nuovo deposito nel termine perentorio normativamente previsto, e non si attivi piuttosto per ottenere informazioni sull’errore e sull’esito del deposito, confidando pertanto nell’accettazione del deposito da parte della cancelleria».

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