La Suprema Corte (Sezione VI), con ordinanza n. 30918 / 2017, si è pronunciata in merito ai requisiti di procedibilità del ricorso per cassazione redatto con modalità informatiche, sottoscritto con firma digitale e notificato tramite PEC, ex art. 3-bis della legge n. 53 / 1994: ciò in relazione all’art. 369, comma 1, c.p.c., per cui “Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della corte, a pena d’improcedibilità, nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto“.

Era accaduto che il ricorrente, effettuata la notifica PEC, aveva estratto copia analogica del ricorso notificato, depositandola nella cancelleria della Corte priva di firma autografa e d’attestazione di conformità, alla pari della relazione di notifica e del messaggio PEC.

Il Giudice di legittimità ha innanzitutto ricordato che il processo telematico non è stato (ancora) esteso al giudizio di cassazione: pertanto, “il ricorso per cassazione può essere depositato nella cancelleria della Corte esclusivamente in modalità analogica (cartacea)“.

Ciò, peraltro, “non esclude che il ricorrente per cassazione, se ritiene, possa notificare il ricorso con modalità telematiche“.

E però, la Cassazione ha pure ricordato che:

– ai sensi dell’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 53 / 1994, “Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’articolo 3-bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82“;

– per il successivo comma 1-ter dell’art. 9, “In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis“;

– secondo l’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 82 / 2005 (“Codice dell’amministrazione digitale”, c.d. “C.A.D.”), “Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato [come è l’avvocato rispetto alle notifiche in proprio, ex art. 6 della legge n. 53 / 1994]”.

Ha così rilevato che “Il potere di attestazione dell’avvocato previsto dal comma 1-bis dell’art. 9 della legge 53/1994 e successive integrazioni, ha per oggetto: il messaggio di posta elettronica certificata, i suoi allegati (ricorso e relazione di notifica), le ricevute di accettazione e di avvenuta consegna. Si estende quindi, per espressa previsione normativa, anche agli atti allegati“.

Ma se, come nel caso esaminato dalla Cassazione, “il ricorso analogico è una mera copia di quello informatico priva della necessaria attestazione di conformità sottoscritta dal difensore, non è idoneo ad integrare quanto richiesto dall’art. 369, primo comma, c.p.c. ed è quindi improcedibile“: “Né rileva la mancata contestazione della controparte, in quanto la materia non è nella disponibilità delle parti“.

In conclusione, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “Il ricorso per cassazione è improcedibile, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., quando, nel termine di venti giorni dalla notificazione, siano state depositate solo copie analogiche del ricorso, della relazione di notificazione con messaggio p.e.c. e relative ricevute, senza attestarne la conformità, ai sensi dell’art. 9, comma 1 -bis, della legge 21 gennaio 1994 n. 53 e successive integrazioni, ai documenti informatici da cui sono tratte“.

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