cassazione1Con sentenza n. 14827/2016 della Terza Sezione Civile, la Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un avvocato che, incorso in decadenza per non aver citato i testimoni all’udienza fissata con ordinanza comunicatagli a mezzo PEC, lamentava di non aver avuto conoscenza del contenuto dell’ordinanza, in quanto questa era stata inviata in forma di file compresso con estensione “.zip”, anziché in formato “.pdf”, o in uno degli altri formati previsti dalle regole tecniche di cui al DM 21 febbraio 2011, n. 44, e dalle successive specifiche contenute nell’allora vigente regolamento del Ministero della Giustizia di data 18 luglio 2011 (e oggi nel provvedimento del Responsabile della Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati – DGSIA del 16 aprile 2014).

Nel giudizio di merito, l’avvocato aveva chiesto di essere rimesso in termini, invocando un errore scusabile, ma la richiesta era stata respinta sul presupposto che la mancata lettura del file fosse dovuta a una errata configurazione del computer del difensore.

La questione è stata risolta dalla Corte di Cassazione in pochi passaggi, molto semplici, ma che si prestano ad alcune considerazioni, soprattutto con riferimento ad un obiter dictum, il cui impatto potrebbe essere significativo.

Il primo argomento utilizzato dalla Corte per respingere il ricorso riguarda il fatto che la valutazione sulla (ine)scusabilità dell’errore attiene al merito e costituisce un giudizio non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (profilo che il ricorrente non aveva, però, sollevato).

Il secondo argomento, invece, più articolato, si caratterizza per una imprecisa ricognizione della normativa di riferimento.

La Corte muove dalla premessa, secondo cui sarebbe “noto” che il formato .zip non muta il contenuto del documento, ma serve soltanto a comprimere un file in sede di trasmissione, in modo da ridurne le dimensioni digitali, senza modificare il formato del file compresso.

Dalla ritenuta notorietà della caratteristiche del formato “.zip”, la sentenza in commento pretende di conseguire che, anche alla luce delle regole tecniche di cui al DM n. 44/2011, la doglianza sulla scusabilità dell’errore sarebbe infondata, perché il difensore ha un preciso obbligo di utilizzare un computer che consenta l’accesso al formato compresso, e anche perché, in adempimento di un semplice onere di diligenza, egli avrebbe potuto rivolgersi alla cancelleria per avere chiarimenti o per chiedere una nuova trasmissione del provvedimento.

In realtà, ancor prima di richiamarsi implicitamente alle nozioni di comune esperienza (sulle quali, a norma dell’art. 1152 c.p.c., il giudice può fondare la decisione), la Corte avrebbe avuto miglior gioco nel ricordare al ricorrente il contenuto specifico dell’art. 13 del Regolamento del 18 luglio 2011 (identico al medesimo articolo del provvedimento del Responsabile della DGSIA), con cui il Ministero della Giustizia ha stabilito quali sono i formati consentiti per i documenti informatici nel processo civile. Infatti, dopo aver indicato, al primo comma, una serie di formati consentiti (.pdf, .odf, .rtf, ecc.), il secondo comma del citato articolo recita testualmente “E’ consentito l’utilizzo dei seguenti formati compressi purché contenenti file nei formati previsti al comma precedente”; e, tra i formati compressi consentiti, vi è anche quello .zip (oltre ai formati .rar e .arj).

Quindi, nella vicenda in esame, l’errore in cui è incappato il difensore non è dovuto tanto a una scarsa conoscenza informatica, quanto piuttosto alla mancata applicazione di una precisa norma riguardante il processo civile telematico.

A parte questa precisazione, rimane il fatto che, sia pure senza che ve ne fosse la necessità, la Corte di Cassazione ha ritenuto espressamente che, tra le nozioni di comune esperienza, possano rientrare anche quelle che riguardano le caratteristiche di un particolare formato digitale.

E’ opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza, il fatto notorio viene usualmente definitivo come quello appartenente al patrimonio di conoscenze dell’uomo medio, in certo periodo storico e in un determinato ambito geografico; o anche il fatto generalmente conosciuto non dall’uomo medio, ma da tutti coloro che operano in un determinato settore di attività.

Ciò comporta che, almeno nel caso in esame, una nozione informatica di base è stata considerata alla stregua di un patrimonio comune di conoscenza minima nell’ambito dell’attività professionale di avvocato, rispetto al quale ogni carenza implica un errore professionale non scusabile.

Quanto alla possibilità, evidenziata nella sentenza, di rivolgersi alla cancelleria del giudice per avere chiarimenti, la visione del giudice di legittimità è certamente troppo ottimistica; basti pensare che un giudice del Tribunale di Udine non aveva potuto vedere i documenti tempestivamente depositati dal difensore milanese di una delle parti in causa, perché il computer della cancelleria non era configurato per riconoscere il formato .rar (vale a dire uno degli altri formati compressi, consentiti dalle specifiche tecniche in vigore).

Vi è da osservare anche, ad ogni buon conto, che il totale disinteresse manifestato dal difensore sul “misterioso” file ricevuto a mezzo PEC è stato valutato incidentalmente dalla Corte di Cassazione in termini di violazione del più elementare dovere di diligenza, al quale fa riferimento soprattutto l’art. 12 del vigente Codice deontologico.

Ma, sulla base delle considerazioni sopra riassunte, si può ritenere che la mancata conoscenza di uno dei formati digitali più diffusi al mondo ed espressamente ammessi nel processo civile telematico, possa comportare anche una violazione, anche in relazione all’art. 14 del Codice deontologico, in quanto una totale ignoranza informatica (in alcuni casi ostentata con snobismo) potrebbe far sorgere dei dubbi sulla “adeguata competenza”, richiesta quale presupposto per l’accettazione di un incarico, o quanto meno sull’adempimento dell’obbligo di formazione continua, stabilito dal successivo art. 15.

In conclusione, all’avvocato che svolge la sua professione nel nostro contesto storico e geografico è richiesto di sapere almeno cosa sia e come si possa aprire un file .zip.

 

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