Con la sentenza n. 17884 del 9 settembre 2016, la sezione VI della Corte di Cassazione ha affrontato la questione relativa alla notifica via PEC dell’avviso di udienza di cui all’art. 15 L.F. all’imprenditore cancellato dal registro delle imprese.

L’imprenditore in questione aveva in primis proposto reclamo ex art. 18 L.F., innanzi alla Corte d’Appello di Bari, avverso la sentenza dichiarativa di fallimento della propria impresa individuale eccependo il mancato perfezionamento della notificazione dell’avviso di udienza ai sensi dell’art. 15 della L.F.. La Corte territoriale, con sentenza in data 24 febbraio 2015, ha rigettato il reclamo non solo sul presupposto che la notifica, diretta all’indirizzo PEC risultante dal registro delle imprese, aveva avuto esito positivo (come dimostrato dalle ricevute di avvenuta consegna), ma anche sul presupposto che non era condivisibile l’eccezione, sollevata dal reclamante, della notificazione a mezzo PEC nei riguardi dell’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese atteso che tale cancellazione non inciderebbe sulle modalità della notificazione ove non preceduta dalla disattivazione della PEC, possibile solo su attività della parte. Peraltro nel caso di specie risultava svolta, ad abundantiam, anche la notificazione di persona secondo la disciplina introdotta dall’art. 15, nuovo comma III, L. Fall..

Avverso la tale decisione ha proposto ricorso il fallito sulla base di quattro motivi con cui denunciava violazione e falsa applicazione di norme di legge processuale (art. 151 C.P.C., e D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 12) e fallimentare (art. 15 L.F.), oltre a vizi motivazionali, sostenendo tra l’altro l’illegittimità costituzionale di quest’ultima norma in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.; a suo avviso la cancellazione dell’impresa equivarrebbe al decesso dell’imprenditore defunto e renderebbe privo di valore l’uso della casella PEC per notifiche e comunicazioni ad un ormai privato cittadino, il quale sarebbe tenuto a risponderne anche in termini assai ristretti in sede prefallimentare; il curatore fallimentare ha resistito con controricorso.

Osserva innanzitutto la S.C. che, in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 L.F., si è di recente pronunciata la Consulta, con la sentenza n. 146 del 2016, che ha dichiarato non fondata la questione sollevata in riferimento agli atti. 3 e 24 Cost. sul presupposto che “il diritto di difesa dell’imprenditore, nel procedimento fallimentare a suo carico, è adeguatamente garantito dalla disposizione denunciata, in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca” del debitore. Questi, infatti, “ai fini della sua partecipazione al giudizio, viene notiziato dapprima presso il suo indirizzo di PEC, del quale è obbligato a dotarsi ex art. 16 D.L. 29 novembre 2008, n. 185, (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, ed è tenuto a mantenere attivo durante la vita dell’impresa; dunque in forza di un sistema che presuppone il corretto operare della disciplina complessiva che regola le comunicazioni telematiche da parte dell’ufficio giudiziario e che, come tale, consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell’atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari (ufficiale giudiziario e agente postale)”. L’art. 15 L.F. prevede inoltre che, “a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa e “in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore, dei descritti obblighi impostigli dalla legge“.

La piena compatibilità della disposizione di cui all’art. 15, comma III, L.F.con i parametri costituzionali invocati, ivi incluso anche quello dell’art. 111 Cost., risulta anche dalle “esigenze di compatibilità tra il diritto di difesa egli obiettivi di speditezza e operatività, ai quali deve essere impiantato il procedimento concorsuale“, sicché esse “giustificano che il tribunale resti esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità, ancorché normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di irreperibilità dell’imprenditore debba imputarsi alla sua stessa negligenza e a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico“.

In tale situazione rientra anche il caso dell’imprenditore individuale il quale, cancellatosi dal registro delle imprese per la cessata attività, abbia disattivato la propria casella di PEC anche nel periodo dell’anno successivo nel quale, ai sensi della L. Fall., art. 10, egli può essere dichiarato fallito (“il termine di un anno, entro il quale l’imprenditore individuale che abbia cessato la sua attività può essere dichiarato fallito ai sensi della L. Fall., art. 10, come oggi vigente, decorre dalla cancellazione dal Registro delle Imprese, senza possibilità per l’imprenditore medesimo di dimostrare il momento anteriore dell’effettiva cessazione dell’attività” (Cass. n. 8092 del 2016).

Del resto, con riferimento all’imprenditore individuale, dopo la cancellazione dell’impresa sociale dal Registro non sorge neppure il problema dell’identificazione del suo rappresentante, necessaria perché possa operare quella ficto iuris (Cass. n. 24968 del 2013) che permette lo svolgimento del procedimento prefallimentare e delle eventuali successive fasi di impugnazione. In tali casi, infatti, l’imprenditore individuale è univocamente quella persona fisica la cui casella PEC ha come indirizzo (come nella specie) proprio il suo nome e cognome, sicché la deliberata sua disattivazione (nel termine annuale in cui perdura la sua fallibilità) è produttiva di una di quelle ipotesi di irreperibilità dell’imprenditore che la citata pronuncia della Corte Costituzionale ha definito come imputabili “alla sua stessa negligenza e a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico“.

Da quanto sopra discende che la notifica prefallimentare tentata attraverso la comunicazione a mezzo PEC prima e presso la Casa comunale poi (nonché, come nel caso in esame anche presso l’ultima residenza, dove il debitore non è stato trovato) è immune da censure ed eseguita alla luce di una disposizione di legge (l’art. 15, comma III, più volte ricordato) pienamente compatibile con i richiamati parametri costituzionali.

Sulla base di tali presupposti, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.

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