L’istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore NON si notifica (rectius deposita) via PEC!
Corte di Cassazione, sezione III penale, n. 7058 del 10/2/2014.
La pronuncia ribadisce un orientamento consolidato in merito a quanto disposto dagli artt. 121 e 150 c.p.p. Quest’ultima norma consente agli ausiliari del magistrato di procedere alla notificazione degli atti mediante mezzi tecnici come il telefax, ove ammessi dal giudice con apposito provvedimento trascritto in calce all’atto da comunicare.
Al contrario, in base all’art. 121 c.p.p., la parte privata ed il relativo difensore possono presentare le proprie memorie o richieste scritte esclusivamente mediante deposito in cancelleria, con conseguente inammissibilità di eventuali istanze trasmesse in altro modo. La sentenza in commento, per tali ragioni, ha dichiarato inammissibile un’istanza di rinvio udienza per concomitante impegno del difensore trasmessa mediante e-mail non certificata.
Per evitare l’insorgere di ulteriori dubbi, inoltre, gli ermellini hanno colto l’occasione per affermare che si sarebbe giunti alle medesime conclusioni anche in caso di utilizzo della posta elettronica certificata. Nonostante quest’ultimo mezzo di trasmissione sia ritenuto (legalmente) idoneo all’identificazione del mittente, secondo la Cassazione il suo utilizzo (ai fini dell’art. 121 c.p.p.) non sarebbe comunque ammesso dalla Legge. Per corroborare tale conclusione, la Corte di Cassazione richiama quanto disposto dall’art. 16, comma 4°, della Legge n. 221/2012 (c.d. Decreto Crescita 2.0), che recita testualmente: “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale”.
Il fatto che la norma ometta il riferimento all’art. 121 c.p.p., quindi, secondo i supremi giudici dimostrerebbe che il legislatore ha voluto escludere la p.e.c. quale mezzo di notificazione ad uso della parte privata nel processo penale, diversamente da quanto accaduto in sede civile.
Orbene, le conclusioni della Suprema Corte vanno probabilmente condivise, ma per ragioni diverse da quelle appena descritte. Infatti, l’art. 121 c.p.p. disciplina le modalità di deposito (non di notifica) delle eventuali memorie o richieste della parte privata. Al momento i depositi telematici – nell’ambito del processo penale – non sono ammessi in quanto manca l’apposito provvedimento dirigenziale previsto dall’art. 35 del D.M. n. 44/2011, il quale dispone: “L’attivazione della trasmissione dei documenti informatici ((da parte dei soggetti abilitati esterni)) è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio”.
Fino all’adozione del predetto provvedimento, pertanto, in base all’art. 4 del D.L. 193/2009 i depositi nel processo penale ad opera di “soggetti abilitati esterni” devono effettuarsi con le modalità ordinarie.