Con sentenza 15035/2016 la Corte di cassazione, Sezione I civile, ha stabilito che – nelle notifiche tramite PEC eseguite dal cancelliere ai sensi dell’art. 15 comma 3 l.fall. – non è necessaria la proposizione della querela di falso per contestare l’attestazione contenuta nella ricevuta di avvenuta consegna («RAC»).

Invero, la RAC (rilasciata dal gestore PEC del destinatario) costituisce «documento idoneo a dimostrare, fino a prova del contrario, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario, senza tuttavia assurgere a quella “certezza pubblica” propria degli atti facenti fede fino a querela di falso».

Le ragioni di ciò sono due: una è che gli atti dotati di efficacia di pubblica fede «devono ritenersi in numero chiuso e insuscettibili di estensione analogica, essendo per natura idonei ad incidere, comprimendole, sulle libertà costituzionali e sull’autonomia privata»; l’altra è che le disposizioni normative di riferimento parlano semplicemente di «opponibilità ai terzi» ovvero di «prova» dell’avvenuta consegna del messaggio PEC, senza «espressamente riconoscere una qualsivoglia certezza pubblica alle attestazioni rilasciate dal gestore del servizio di posta elettronica certificata».

A quest’ultimo proposito, la Corte ha richiamato l’art. 48, comma 3, CAD (per il quale «La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi») e l’art. 6, comma 3, del d.p.r. 68/2005 (secondo cui «La ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione»).

Che poi l’art. 48, comma 2, CAD abbia equiparato «La trasmissione del documento informatico per via telematica […] alla notificazione per mezzo della posta», non è significativo, in quanto «siffatta assimilazione appare riferita esclusivamente all’efficacia giuridica di questa forma di trasmissione dei documenti elettronici», non valendo quindi a rendere applicabile l’intera disciplina prevista dalla legge 890/1982, in tema di notifiche tramite il sistema postale.

Non solo, ma la Corte di cassazione ha ricordato come il gestore PEC – ancorché tenuto all’iscrizione presso un pubblico elenco e sottoposto alla vigilanza della Pubblica Amministrazione (cfr. l’art. 14 d.p.r. 68/2005, e sempre che il relativo servizio non sia gestito direttamente da una pubblica amministrazione) – resti un soggetto privato, sempre costituito in forma di società di capitali, come tale «naturalmente privo del potere di “attribuire pubblica fede”, ai sensi dell’art. 2699 c.c., ai propri atti».

Nessun paragone con l’attività dell’agente postale ex artt. 7 e 8 della legge 890/1982 è del resto possibile: in particolare, se l’attestazione apposta dall’agente postale sull’avviso di ricevimento «fa fede fino a querela di falso e non già sino a prova contraria», è perché «tale notificazione costituisce un’attività direttamente delegata all’agente postale dall’ufficiale giudiziario, che in forza dell’art. 1 della citata legge n. 890 del 1982 è autorizzato […] ad avvalersi del servizio postale per l’attività notificatoria».

Viceversa, nel caso della notifica PEC eseguita ai sensi dell’art. 15 comma 3 l.fall., non vi è alcuna cooperazione da parte di un pubblico ufficiale; la stessa si conclude anzi con l’emissione automatica di una ricevuta, la RAC appunto, «sottoscritta digitalmente da un privato (il gestore del servizio di posta elettronica del destinatario), a differenza di quanto previsto ancora oggi per le notifiche telematiche che siano state eseguite dall’ufficiale giudiziario, il quale è tenuto a formare una “relazione di notificazione sottoscritta mediante firma digitale” (art. 16, comma 5, d.m. n. 44 del 2011), naturalmente dotata di fede privilegiata».

Peraltro, la sentenza della Corte di cassazione è interessante anche laddove afferma che la notifica telematica si ritiene perfezionata nonostante che l’indirizzo PEC del destinatario sia contemporaneamente riferibile a soggetti distinti.

In dettaglio, la Corte ha giudicato irrilevante che il ricorrente avesse comunicato al registro delle imprese il medesimo indirizzo PEC sia per la propria impresa individuale (poi fallita), che per altra società di capitali di cui era amministratore: «in difetto della prova del contrario di cui è onerato il destinatario, la notifica telematica si ritiene perfezionata nei confronti del titolare dell’indirizzo di PEC – ancorché lo stesso sia contemporaneamente riferibile a più soggetti -, nel momento in cui risulta emessa la RAC da parte del suo gestore di posta elettronica certificata».

Sul punto, già la Corte intermedia di Trieste, con la sentenza poi confermata dalla Cassazione, aveva significativamente affermato che non ricorreva l’ipotesi di una notifica PEC inoltrata a un indirizzo elettronico non accessibile all’imprenditore fallito perché utilizzato da un terzo, essendo stato lo stesso imprenditore a comunicare il medesimo indirizzo PEC per le due imprese – quella individuale poi fallita e quella societaria – da lui gestite.

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